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Il Migliaccio

A Carnevale, nella tradizione campana non rientrano solo le chiacchiere e il sanguinaccio, ma anche il Migliaccio…

La ricetta originale è a base di pochi e semplici ingredienti, tra cui il miglio, un cereale dalle molteplici proprietà, utilizzato anticamente nella cucina contadina povera partenopea, da cui prende appunto il nome Migliaccio. Oggi, invece, per la preparazione di questo dolce, viene usato il semolino. Gli altri ingredienti sono la ricotta, le uova, la scorza d’arancio e lo zucchero; alcune varianti prevedono invece l’essenza di fiori d’arancio e/o il rum, oppure l’assenza di ricotta. Io ho provato a farlo sia con che senza ricotta e devo dire che non ho sentito particolare differenza al palato né nella consistenza. Di seguito, la ricettina e qualche foto… mi riservo magari domani per fotografarlo anche alla luce naturale.

Ingredienti:

• 180 gr di semolino

• 500 ml di latte

• 300 ml di acqua

• 30 gr di burro

• 3 uova

• 270 gr di zucchero

• due fialette di fiori d’arancio

• 1 bustina di vanillina

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In una pentola, versiamo il latte, l’acqua, il burro, le due fialette profumatissime di fiori d’arancio (immaginatemi mentre le sniffo… adoro questo profumo!!), la bustina di vanillina e solo 70 grammi di zucchero.

Mettiamo sul fuoco e arriviamo al punto in cui il latte bolle… dopodiché, abbassiamo la fiammella e aggiungiamo piano piano il semolino, poi continuiamo a mescolare sino a quando non si amalgama bene il tutto, ma attenzione a non tenerlo troppi minuti sul fuoco, altrimenti si formano i grumi. Nel caso in cui si formassero i grumi, potete eliminarli con il frullatore a immersione 💪

Mentre lasciamo intiepidire il tutto, in un’altra ciotola mettiamo le uova e le frulliamo insieme allo zucchero, sino a quando non otteniamo un composto chiaro e spumoso.

Ora, in questo composto possiamo versare il semolino e tutto il resto ormai intiepidito, poi mescoliamo un poco.

Preso un ruoto dal diametro di circa 22-24 cm, lo imburriamo, infariniamo e ci versiamo il composto.

Forno preriscaldato, ad una temperatura di circa 175 gradi, inforniamo il nostro Migliaccio che cuocerà in circa 60 minuti… et voilà! Il Migliaccio ha una consistenza pastosa, non mollicosa, direi più budinosa… ha un sapore delicato e una fetta tira l’altra! Ci ho messo sopra un po’ di cacao amaro e zucchero a velo, ma credo si sposi perfettamente con quest’ultimo! Inutile dirvi che il Migliaccio si gusta meglio da freddo, magari dopo aver riposato un giorno, ma io non ho resistito…

Non vi impressionate, il Migliaccio non è la tipica torta che deve venire alta, di fatto non si aggiunge il lievito… e, nonostante il suo aspetto, per così dire “banale”, è molto gustoso! Si scioglie in bocca…

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La mia non proprio “torta sbriciolata”

Ho saltato qualche appuntamento dolciario nel postarlo qui, perché non ero soddisfatta. In particolare, avevo creato una caprese al pistacchio, convinta che sarebbe venuta golosa, e invece ho capito che la farina di pistacchio non è proprio il massimo come gusto a differenza del mio adorato gelato al pistacchio. Quella caprese a pistacchio credo andasse fatta con farina classica e non di pistacchio, con solo pasta di pistacchio per darle gusto, non altro, perché è venuta simile al castagnaccio come consistenza, e il sapore mi ha disgustata al punto che ho fatto la torta a fette, ho creato una bella montagna verde e l’ho fatta franare tutta nella spazzatura.

Ed eccomi qui con un’altra torta, ripresa dalle ricette di Benedetta Rossi, la mia pasticcera social preferita: la sbriciolata con crema pasticcera e fragole.

Non vi posto gli ingredienti e il procedimento, perché vorrei rifarla prima con delle modifiche, però stavolta non ha niente a che fare con la caprese al pistacchio e merita di essere ammirata 🍓

Se troverò ancora le fragole, ché già ho girato per trovarle, posterò la mia seconda figlioccia con la mia versione… che poi, detto tra noi, le modifiche che voglio apportare non riguardano la sbriciolata – quella di Benedetta è perfetta – , ma riguardano il ripieno, dato che la crema pasticcera io tendo a farla in altro modo rispetto a lei.

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La Regina napoletana

E’ nu sciore ca sboccia a primmavera,

e con inimitabile fragranza

soddisfa primm ‘o naso, e dopp’a panza.

Pasqua senza pastiera niente vale:

è ‘a Vigilia senz’albero ‘e Natale,

è comm ‘o Ferragosto senza sole.

Guagliò, chest’è ‘a pastiera. Chi ne vuole?

Ll’ ingrediente so’ buone e genuine:

ova, ricotta, zucchero e farina

(e’ o ggrano ca mmiscato all’acqua e’ fiori

arricchisce e moltiplica i sapori).

‘E ttruove facilmente a tutte parte:

ma quanno i’ à fà l’impasto, ce vò ll’arte!

A Napule Partenope, ’a sirena,

c’a pastiera faceva pranzo e cena.

Il suo grande segreto ‘o ssai qual è?

Stu dolce pò ghì pure annanz’ o Rre.

E difatti ce jette. Alludo a quando

il grande Re Borbone Ferdinando

fece nu’ monumento alla pastiera,

perchè facette ridere ‘a mugliera.

Mò tiene voglia e ne pruvà na’ fetta?

Fattèlla: ccà ce stà pur’ a ricetta.

A può truvà muovendo un solo dito:

te serve pe cliccà ncopp ‘ a stu sito.

Màngiat sta pastiera, e ncopp’ a posta

dimme cumm’era: aspetto na’ risposta.

Che sarà certamente ”Oj mamma mia!

Chest nunn’è nu dolce: è na’ poesia!”

(dal web)

Una delle mie pastiere 😋

La ricchezza degli ingredienti e la complessità dei gusti sembrano richiamare la cucina di corte. Ma l’incredibile affonda le sue radici nel mito, e dobbiamo fare un salto indietro fino all’epoca romana o forse addirittura greca: quando, secondo la leggenda, la sirena Partenope aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli, da dove si spandeva la sua voce melodiosa e dolcissima. Per ringraziarla si celebrava un misterioso culto, durante il quale la popolazione portava alla sirena sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitato in Europa: fatto, tra l’altro, che suscita non pochi dubbi sulla reale fondatezza storica della leggenda…), profumo della terra campana; le spezie, omaggio di tutti i popoli; e lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì i doni, ma li mescolò creando questo dolce unico.

Solo una leggenda, certo. Ma è sicuro che, per celebrare il ritorno della primavera, le sacerdotesse di Cerere portassero in processione l’uovo, simbolo della vita nascente poi diventato “rinascita” e Resurrezione con il Cristianesimo. Il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare invece dal pane di farro delle nozze romane, dette per questo “confarreatio”. Un’altra ipotesi fa invece risalire la pastiera alle focacce rituali dell’epoca di Costantino, derivati dall’offerta di latte e miele che i catecumeni ricevevano durante il battesimo nella notte di Pasqua.

Antenate piuttosto incerte, però, del dolce che noi conosciamo… che, con ogni probabilità, nacque molto più tardi: nel XVI secolo. In un convento, come la maggior parte dei dolci napoletani; probabilmente, quello di San Gregorio Armeno: un’ignota suora volle preparare un dolce in grado di associare il simbolismo cristianizzato di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città.

“Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni – racconta la scrittrice e gastronoma Loredana Limone – dalla porta del convento, che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”.

Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, “la Regina che non ride mai”, consorte del goloso “re bomba” Ferdinando II di Borbone, si fosse lasciata sfuggire un sorriso dopo un morso alla beneamata pastiera. “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”, commentò Ferdinando.

Sulla vera ricetta della pastiera napoletana, però, ognuno dice la sua e il dibattito ferve anche in terra partenopea. La ricetta classica prevede la preparazione di una frolla a base di farina, uova, strutto (o burro) e zucchero semolato da sistemare sul “ruoto”, la tipica tortiera in alluminio dai bordi lisci e leggermente svasati, alta 3-5 cm. Il “ruoto” più antico, però, consentiva di preparare pastiere più grandi visto che era alto addirittura 10 cm! Per il ripieno occorrono invece latte, zucchero, ricotta di pecora, chicchi di grano, burro, frutta candita, uova, vaniglia, vanillina, scorza d’arancia e di limone, acqua di fiori d’arancio e cannella in polvere. Il tutto da sormontare con le striscioline di frolla e poi da cuocere in forno, con spolverata di zucchero a velo finale.

Un primo dubbio riguarda il grano: oggi il grano precotto è di gran lunga la soluzione più pratica, ma la pastiera diventa ancor più vera se si utilizzano i “normali” chicchi di grano, messi a bagno in acqua tiepida per diversi giorni. L’indomani il grano per la crema si farà cuocere assieme a latte, scorza di limone, zucchero, cannella, un baccello di vaniglia e un cucchiaino di burro chiarificato. Fino a quando il grano non avrà assorbito tutto il liquido. Alcune ricette, poi, ai chicchi preferiscono il grano frullato; altre, salomonicamente, si dividono a metà: metà grano in chicchi e metà frullato. La cannella, inoltre, spesso compare come ingrediente facoltativo. Nella versione della storica bottega Starace (oggi non più esistente) di piazza Municipio, poi, la ricotta non veniva unita alle uova ma a una raffinata crema pasticcera. Secondo la tradizione la pastiera va preparata il Giovedì Santo e consumata a Pasqua, per dar modo a tutti i sapori di amalgamarsi.

Rispetto alle strisce di pasta frolla: sono sette e solo sette, non meno e non di più. Con la classica decorazione a “grata”, sono disposte in questo modo: quattro in un senso e tre nel senso trasversale, a croce greca. Come mai in questo modo? Le strisce formerebbero l’antica “planimetria” di Neapolis, con i tre Decumani e i Cardini che li attraversano in senso trasversale; rappresentando così, in maniera simbolica, l’intera città che in quel preciso momento offrì alla Sirena i sette doni.

(testo reperito dal web)

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La ricetta è facilissima e potete trovarla scritta sul barattolo del grano, ve lo riporto di seguito:

A me sono venute fuori due pastiere e l’altezza è di circa 3 cm, massimo 4, insomma, non deve essere altissima, ma poi alla fine c’è anche chi la fa più spessa, anzi, c’è chi dice che debba essere alta minimo 6 cm per mantenere la sua fragranza.

Altro appunto sulla ricetta: noi aggiungiamo anche dei canditi e facciamo a meno della crema pasticcera, ma sarebbe da provare anche con la versione crema pasticcera, però sta di fatto che è squisita anche senza.

Personalmente, vado matta già solo per il profumo dolcissimo che si spande per tutta la casa! Profumo di fiori d’arancio, profumo della Pastiera napoletana.

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Pan di spagna noccioloso

Oggi vi presento un Pan di spagna con crema alla nocciola, ricoperto da glassa alla nocciola e da tante granelle alla nocciola… insomma, un Pan di spagna noccioloso!

Sapete che il Pan di spagna, inizialmente, aveva un altro nome? Si chiamava Pâte Génoise, ovvero pasta genovese, mentre per quanto riguarda le origini del Pan di Spagna, risalgono alla metà del 1700, quando il cuoco genovese Giobatta Cabona, inviato in Spagna al seguito del marchese ed ambasciatore Domenico Pallavicino, in occasione di un banchetto presentò una torta di incredibile leggerezza che prese il nome di Pan di Spagna per onorare la corte spagnola. Questa pasta si preparava a caldo, ovvero tutti gli ingredienti venivano aggiunti in una terrina che poggiava su una pentola con dell’acqua che bolliva. Col tempo questo metodo venne abbandonato e la Pâte Génoise divenne semplicemente il moderno Pan di Spagna.

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Andiamo a vedere gli ingredienti per il nostro Pan di spagna:

• 5 uova medie, a temperatura ambiente;

• 150 g. di zucchero;

• 1 bustina di vanillina;

• 75 g. di farina;

• 75 g. di fecola di patate;

• un pizzico di sale;

• 1 cucchiaio di lievito per dolci (se non vi sentiti sicuri nella riuscita della lievitazione).

PROCEDIMENTO

Iniziamo rompendo le uova, ci aggiungiamo un pizzico di sale e le lavoriamo con le fruste elettriche per circa 15/20 minuti, nel mentre ci aggiungiamo lo zucchero poco per volta. L’impasto sarà pronto quando sarà chiaro, spumoso e riusciremo a scriverci sopra. Non bisogna ovviamente strafare nel montarle, altrimenti il Pan di spagna verrà troppo sbricioloso.

Ora aggiungiamo le farine all’impasto, rigorosamente setacciate: farina e fecola di patate; mescoliamo con un mestolo in maniera molto delicata per non smontare tutto. Poi mettiamo la vanillina e solo alla fine il lievito. Mi raccomando, il lievito agirà subito non appena lo aggiungiamo all’impasto, per questo motivo, prima di aggiungerlo, conviene iniziare ad accendere il fornetto per scaldarlo e imburriamo e infariniamo il ruoto dove inseriremo l’impasto.

Ho un ruoto da circa 24/26 cm e un fornetto statico che imposto su 160. Ci vorranno circa 45 minuti per la cottura.

PREPARIAMO ORA LA CREMA DI NOCCIOLE

Servono:

• 500 ml di latte;

• 200 g. di panna fresca liquida;

• 180 g. di pasta di nocciole (io la compro su macrolibrarsi, che vende articoli bio, e la trovo golosissima);

• 125 g. di zucchero;

• 35 g. di farina;

• 15 g. di amido di mais;

• 4 tuorli.

Procedimento:

Posizioniamo in una ciotola i tuorli e lo zucchero (mi raccomando, lavorateli subito, perché tenere lo zucchero a contatto con i tuorli li brucia e perciò si formano dei grumi gialli). Lavoriamoli con una frusta a mano sino a quando non avremo un composto chiaro, omogeneo e spumoso. Aggiungiamo la farina e l’amido setacciati e continuiamo a mescolare, amalgamando bene gli ingredienti. Uniamo poi la pasta di nocciole e infine il latte precedentemente riscaldato (non deve essere bollente, altrimenti cuocerà le uova).

Una volta che abbiamo mescolato bene tutti gli ingredienti, li passiamo sul fuoco, ma prima facciamoli in un colino per raccogliere eventuali grumi.

Mescoliamo di continuo su una fiamma media per circa 5 minuti, ma magari arrivate anche ad 8… basta che la crema si addenso, dopodichè passata in una terrina e mescolate di continuo per farla raffreddare ed evitare che si formi una pellicina. Una volta intiepidita, copritela con una pellicola per alimenti, a contatto, e riponetela in frigo, lasciandola almeno per un’ora per farla rassodare.

Successivamente, montiamo la panna e piano piano aggiungiamo ad essa lo zucchero a velo. Consiglio di tenere in frigo gli arnesi e la ciotola dove monterete la panna, cosicchè siano freddi, perché più freddi saranno e più la panna non faticherà a montare. Tuttavia non bisogna neanche esagerare nel montare la panna, altrimenti rischiate di smontare il composto, o magari di renderlo troppo burroso perché il grasso comincerà a dividersi dal latte.

Dopo la montatura, trasferiamola nella crema di nocciole, piano piano, e mescoliamo il tutto con una frusta o anche con un cucchiaio. Infine copriamo con una pellicola a contatto e riponiamo in frigo, giusto il tempo di preparare la glassa e infine la bagna per il Pan di spagna.

PER LA GLASSA DI NOCCIOLA:

• 200 g. di cioccolato bianco;

• 30 g. di pasta di nocciola (ma se il gusto vi sembra leggero, potete aggiungerne di più);

Sciogliete a bagnomaria il cioccolato bianco, non prima di averlo fatto a pezzetti. Una volta che si è sciolto, aggiungete la pasta di nocciole (magari filtrandola con un colino), e mescolate. Momento di assaggio per verificare se il sapore vi piace o se preferite aggiungere altra pasta nocciola. Ora mettetelo da parte, a raffreddare, mentre prepariamo la bagna per il Pan di spagna.

PER LA BAGNA, facile facile:

200 ml di acqua a cui aggiungiamo 100 g. di zucchero che faremo sciogliere sul fuoco. Una volta raffreddata, possiamo scegliere se aggiungervi un aroma, oppure no.

Apriamo ora il nostro Pan di spagna, che nel frattempo abbiamo tenuto avvolto in una pellicola, fuori dal frigo, per non farlo seccare. Lo inzuppiamo con la bagna, poi, prediamo la crema, le diamo una mescolata, farciamo il Pan di spagna e chiudiamo. Dopodiché, prendiamo la glassa e gliela versiamo sopra, utilizzandi anche un cucchiaio per stenderla bene e, dopo qualche istante, la decoriamo con le granelle di nocciola.

Et voilà! Il Pan di spagna noccioloso è pronto:

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Sfizio rustico

Volevo provare a fare una cosa sfiziosa e mangiarla per cena, quindi eccovi qui una torta rustica…

Per farla basta avere:

• Due rotoli di pasta sfoglia;

• 4 Zucchine;

• Prosciutto cotto (circa cinque o sei fettine);

• Due mozzarelle;

• Mezza cipolla (ma anche qualcosa di meno, a seconda dei gusti);

• Due tuorli d’uovo;

• Semi di sesamo;

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Lavate le zucchine e tagliatele a piccoli pezzettini, oppure potete anche grattuggiarle. Poi friggetele circa 10, 15 minuti e infine salatele.

Prendete il primo rotolo di frolla (io ho preso due rotondi, non avendo trovato quelli rettangolari), bucherellatelo con una forchetta e adagiateci sopra le fette di prosciutto, lasciando giusto un contorno libero per arrotolare alla fine la sfoglia.

Sul letto di prosciutto, mettiamo ora le zucchine ben sparse, infine le mozzarelle tagliate a fette. Esiste anche la mozzarella per pizza, più secca, ma io mi sono trovata bene anche con la classica mozzarella, magari premendo un po’ per fare fuoriuscire del latte in eccesso.

Ora posizioniamo l’altra sfoglia sopra, chiudiamo bene i contorni, anche premendo un po’ con i rebbi della forchetta, e con un coltello facciamo delle righe sopra la frolla. Poi prendiamo i due tuorli e spennelliamo la nostra torta rustica, infine spargiamo i semini di sesamo (ho voluto esagerare, ma che buoni!).

Inforniamo senza superare i 200 ° C, magari a temperatura media/bassa (sempre meglio cuocere piano piuttosto che troppo rapidamente).

La torta rustica sarà pronta quando assumerà un colore marroncino.

Buon appetito! 😋

P.S. io avevo fame e l’ho mangiata quasi subito, ma si gusta meglio una volta intiepidita un pochino… si esalatano i sapori.

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Torta a caffè con ganache al cioccolato

Torta a caffè ☕ con ganache al cioccolato fondente e scaglie di cioccolato bianco 🤍

Ingredienti:

• 150 burro ammorbidito;
• 200 g zucchero;
• 120 g farina 00;
• 1 bustina vanillina;
• 80 g fecola di patate;
• 1 tazzina di caffè;
• 4 uova;
• 1 bustina di lievito per dolci.

Procedimento:

Utilizziamo una frusta elettrica inziando ad amalgamare il burro tagliato a pezzetti e lo zucchero. Proseguiamo aggiungendo la farina setacciata, piano piano, poi la vanillina e in seguito la fecola di patate anch’essa setacciata. Poi versiamo la tazzina di caffè, un uovo per volta e infine il lievito.

Imburriamo e infariniamo un ruoto, versiamo l’impasto e livelliamo la superficie.

Si cuoce in circa 40, 45 minuti in forno (il mio statico) preriscaldato a quasi 170° C (che poi la temperatura dipende sempre dalla potenza del fornetto).

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Per la ganache al cioccolato fondente servono:

• 200 g di cioccolato fondente (50 %);
• 200 g di panna fresca liquida;
• 20 g di burro.

Procedimento:

Fare a pezzetti il cioccolato fondente e versarlo in una casseruola insieme alla panna e, a fiamma media/bassa, girare di continuo. Il cioccolato deve sciogliersi del tutto, la panna deve bollire, e deve formarsi una crema densa. Dopodiché spegnete il fuoco, aggiungete il pezzetto di burro e girate fino a farlo sciogliere, poi mettete la crema in una ciotola e lasciate che si raffreddi: va versata sulla torta a temperatura ambiente.

Infine ho aggiunto le scaglie di cioccolato bianco, ma probabilmente avrei dovuto aspettare che la ganache si raffreddasse un pochino, perché poi le scaglie sono un po’ colate, ma anche così ha un che di artistico 😚

Una curiosità sull’origine della ganache al cioccolato:

Il termine “ganache” in francese vuol dire “imbecille”, e non è un caso…

Siamo a Parigi, nel XIX secolo, in una pasticceria francese dove lavora un apprendista che, sbadatamente, rovescia del latte bollente in una vaschetta contenente delle tavolette di cioccolato. Il datore di lavoro, nel vederlo, non si trattiene dal mostrare la sua rabbia, e lo insulta urlando, “Ganache!”

Ma il caro padrone si dovrà poi ricredere quando, mescolando i due ingredienti e confidando nella possibilità di utilizzare comunque il prodotto, si accorge che il risultato non è poi così terribile, anzi, il gusto è gradevole e risulta morbido al palato.

L’aggiunta di burro è utile per rendere la ganache lucida e darle maggiore omogeneità. Si può anche procedere versando la panna bollente sul cioccolato a pezzetti, così com’è nata la ricetta, ma se si teme che non si sciolga si possono anche mettere i due ingredienti insieme sul fuoco.

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Ecco qui il book fotografico della mia torta:

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Quasi Sanguinaccio

Il Sanguinaccio è una crema anche detta “al doppio cioccolato” utilizzata soprattutto nel periodo di Carnevale per immergervi le famose chiacchiere che in altre regioni d’Italia prendono altro nome come bugie, frappe, cenci, ecc.

Il nome Sanguinaccio deriva dall’antica tradizione napoletana di aromatizzare questa crema con il sangue di maiale, pratica vietata dal 1992; oggi infatti si realizza con cioccolato fondente e cacao amaro.

Come si faceva all’epoca?

Raccolto durante la macellazione, il sangue doveva essere continuamente mescolato per evitarne la coagulazione. Successivamente veniva filtrato prima di essere unito alla crema di cacao cotta in pentoloni di rame su fuochi a legna. Alla crema si aggiungevano, poi, caffè, cacao, cannella, chiodi di garofano, uva passa e altre spezie oltre ad una buona quantità di zucchero per addolcire il tutto.

Ma perché veniva utilizzato proprio questo ingrediente? E perché proprio in questo periodo dell’anno? Il periodo carnevalesco inizia precisamente il 17 gennaio, giorno in cui si celebra Sant’Antonio Abate. Il santo anacoreta, vissuto in Egitto tra il III e il IV secolo, è sempre stato invocato per la guarigione dell’herpes zoster, il cosiddetto “fuoco di San’Antonio”, che in origine si curava con il grasso di maiale; per questo motivo il santo è sempre stato raffigurato tra le fiamme e con un maiale accanto. Ma l’uso del sangue di porco per il dolce carnevalesco ha anche un’origine pagana: deriva, infatti, dalla tradizione medievale delle nostre campagne, dove l’uccisione dei maiali si è sempre collocata tra gennaio e febbraio, mesi in cui i contadini potevano finalmente godere di cibi prelibati frutto del loro lavoro: il ciclo di preparazione del maiale iniziava con il suo ingrassamento, proseguiva con la sua brutale uccisione e infine terminava con il suo essiccamento. C’è un detto secondo il quale “del maiale non si butta via niente”, e in effetti i napoletani hanno saputo sfruttare in cucina ogni parte di questo animale… Ma una volta utilizzata la carne, le interiora e il grasso, restava il sangue, che a lungo è stato utilizzato per scopi terapeutici: nei casi di carenza di ferro veniva dato alle donne durante il periodo mestruale o a chi soffriva di forte anemia. Dal 1992, poi, per motivi igienici, in Italia fu vietata la vendita e il suo utilizzo per scongiurare il pericolo di infezioni: il sangue, infatti, era considerando veicolo di malattie trasmissibili. Questo però non impedì completamente il suo uso. In alcune zone di campagna, ancora oggi, viene utilizzato e, seppur non venduto “ufficialmente” in negozi alimentari, è facilmente reperibile nei mercati di paese. Nonostante il sangue di maiale renda unico il sapore di questa golosissima crema al cioccolato, fortunatamente, l’arte dei pasticceri napoletani è stata in grado trovare una valida alternativa a questo ingrediente, conservando il suo inconfondibile gusto.

(fonte: NapoliToday)

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Personalmente, ho voluto provarla a fare con solo il cacao amaro in polvere e vedere se il risultato sia invariato. Posso dire che non ho notato particolari differenze rispetto alla cioccolata comprata in pasticceria insieme alle chiacchiere.

Si può anche scegliere di mettere il burro per renderla più lucida, ma anche in questo caso ho scelto di non metterlo. Come spezie si può aggiungere cannella, come abbiamo visto, oppure altri ingredienti come la vanillina.

Inoltre si può decidere se utilizzare la classica farina 00, oppure se sostituirla con l’amido di mais. Utilizzando quest’ultimo, il risultato sarà quello di una crema leggermente budinosa, mentre con la farina viene più fluida. Ho optato per l’amido di mais, anche più leggero.

INGREDIENTI:

• 350 ml di latte (io ho usato il latte vaccino, ma chi vuole può utilizzare anche quello vegetale);

• 120 g. di zucchero;

• 1 cucchiaio pieno di amido di mais;

• 3 cucchiai pieni di cacao amaro in polvere.

PROCEDIMENTO semplice e veloce:

Scaldate il latte in un pentolino fino a quasi il bollore.

Mettete in una pentola lo zucchero, il cacao amaro e l’amido di mais, questi due ultimi precedentemente setacciati. Mescolate questi tre ingredienti con una frusta a mano. Dopodiché aggiungete il latte caldo a filo e continuate a mescolare.

Successivamente, passate la pentola su un fornello piccolo a fiamma medio bassa, oppure su un fornello medio a fiamma bassa pure va bene. Continuate a mescolare di continuo per circa 5 minuti, fino a quando non si addenserà di più e in genere accade quando inizia a bollire. A questo punto potete toglierla dal fuoco e spostarla in un piatto di vetro, continuando a mescolare per evitare che si formi la famosa pellicina. Abbiate pazienza e continuate a mescolare sino a quando la crema non si sarà intiepidita, allora appiccicateci sopra, a contatto, una pellicola per alimenti e riponetela in frigo.

Quando sarà raffreddata, sarà ancora più squisita! Potete mangiarla così al cucchiaio, magari aggiungerci se vi va delle granelle di nocciola, oppure utilizzarla per farcire dei dolci.

La mia impressione è che il sapore sia vicinissimo alla cioccolata utilizzata non solo per le chiacchiere, ma anche a quella che si usa per farcire dei tipici dolci della pasticceria napoletana chiamati “Sciù”… o forse no, mi ha ricordato ancor di più un budino della mia infanzia che mia mamma comprava al supermercato, la famosa “coppa panna milk” al cacao.

È da provare anche la versione più fluida 🤔

Eccola qui la mia cioccolata 🥣

😋

Più la lascerete raffreddare e più credo sarà budinosa.

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Cosa fare degli albumi restanti?

Segnalo qui dei biscotti fatti con tre ingredienti che mi sono avanzati da una torta all’arancia di ieri. La torta all’arancia ho deciso di non postarla, perché anche se è piaciuta tanto (sofficissima e profumatissima), di aspetto era semplice e invece avrei voluto decorarla, solo che avendo fatto tardi ed era quasi ora di cena, per affrettare i tempi l’ho solo spolverata di zucchero a velo.

I tre ingredienti avanzati erano: albumi, cocco rapè (della torta scorsa, quello grattuggiato) e delle gocce di cioccolato. Quindi ecco il book fotografico (con la collaborazione di mio fratello) dei biscotti al cocco e gocce di cioccolato, soffici e profumati, con un po’ di zucchero a velo:

Nevicaaaa ❄ 🌨

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INGREDIENTI:

• 3 albumi medi

• 1 pizzico di sale

• 100 g zucchero

• 160 g cocco rapè (cocco grattuggiato)

… potete sbizzarvi poi come volete: se tipo alle gocce di cioccolato e al cocco preferite delle granelle di nocciola, allora in questo caso creerete i famosi “brutti ma buoni”! Succulenti bocconcini alla nocciola. Insomma, gli albumi sono la base, per il resto ci penserà la vostra fantasia 😁

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Procedimento, facile facile:

Montate gli albumi con una frusta elettrica e aggiungete il pizzico di sale, montateli per circa 5 minuti o fino a quando non riuscirete a “scrivere” sul composto. Fate anche la prova capovolgendo il composto e vedete che rimarrà attaccato alla ciotola! A meno che non avreste dovuto montarli ancora e allora in quel caso il composto si attaccherà a terra 😆

Dopo aver montato gli albumi, metteteci quello che volete (gocce di cioccolato, nocciole o se volete li lasciate così). Prendete una teglia, rivestitela di carta da forno e, aiutandovi con un cucchiaio e un mestolo di legno, realizzate delle palline di circa le dimensioni di un mandarino.

Inserite la teglia in un forno preriscaldato ad una temperatura di circa 170 (o almeno io così mi regolo per evitare che si cuociano troppo in fretta e magari bruciacchiandosi) e saranno pronti quando inzieranno a dorarsi. Potranno volerci una ventina di minuti, qualcosa di più o qualcosa di meno, basta che siano dorati.

Se fate la prova stecchetto e pensate che, essendo l’impasto ancora molle, debbano cuocersi ancora, ATTENZIONE! Non fatevi ingannare: i biscotti si induriranno solo quando saranno freddi.

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Vi lascio con una foto che non ha niente a che fare con i dolci, ma merita di essere ammirata 🐌🌼

(19 gennaio 2022)

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Abito bianco, cuore esotico

Oggi vi presento una dama bianca, ma non senza tracce di cioccolata.

È un pan di spagna al cioccolato, con dentro bagna al rum e crema al cocco 🥥 .

Ricoperta di crema al cocco, ha le scaglie di cioccolata tutta intorno e sopra del cocco rapè, ovvero del cocco essicato che è diverso dalla farina di cocco, e lo si può mangiare anche così 😋

GLI INGREDIENTI:

Per il pan di spagna:

• 5 uova medie a temperatura ambiente

• 100 g di farina 00

• 30 g di cacao amaro

• 30 g di fecola di patate

• 160 g di zucchero

• 1 cucchiaino di lievito per dolci (in genere il pan di spagna non riporta il lievito, ma se vi fa sentire più sicuri aggiungervelo, prego!)

• aroma vanillina

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Per la bagna al rum:

• 100 g di zucchero

• 200 ml di acqua

• 1 fialetta di aroma al rum

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Per la crema al cocco:

• 1 litro di latte

• 200 g zucchero

• 80 g di amido di mais

• 120 g di farina di cocco

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Decorazione:

• 100 g di scaglie al cioccolato

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Partiamo con la crema:

In un pentolino mescolate la farina setacciata con lo zucchero e la farina di cocco.

Aggiungete il latte a filo (precedentemente riscaldato), mescolando con una frusta (non elettrica) o un cucchiaio.

Passate tutto su fuoco lento e mescolate di continuo fino a quando diventerà densa e cremosa. Ci vorranno dai 7 ai 10 minuti circa, o comunque continuate fino a quando non avrete una crema 😁 . Dopodiché lasciatela raffreddare, girando di continuo, e metteci una pellicola a contatto, però solo quando sarà tiepidissima, per poi deporla in frigo.

Ora potete dedicarvi al pan di spagna:

Montate le uova (a temperatura ambiente, mi raccomando) con lo zucchero, fino ad ottenere un composto triplicato di volume; occorreranno 20 minuti, sia con la planetaria sia che usiate lo sbattitore elettrico. Dovrete ottenere un composto chiaro e spumoso. Solo così cuocerà bene e lieviterà, con o senza lievito.

Setacciate in una ciotola la farina 00, la fecola, il cacao amaro ed eventualmente il lievito ed uniteli piano piano al composto spumoso ottenuto. Piano piano e con delicatezza, con una spatola, con movimenti dall’alto verso il basso.

Aggiungete infine l’aroma di vanillina.

Aggiungete l’impasto in una tortiera imburrata e leggermente infarinata da 24 cm.

Cuocete in forno statico e preriscaldato a 170° per circa 50 minuti, non aprite mai il forno prima dei 35 minuti. Fate la prova stecchino per verificarne la cottura. Personalmente, però, avendo un fornetto statico potente, la temperatura l’ho impostata anche su un po’ meno di 170°. Meglio farla a fuoco più basso piuttosto che alzarla troppo tanto da fare alzare una “collina” e rovinare il pan di spagna.

Passiamo ora alla bagna:

In un pentolino versate l’acqua e lo zucchero, mettete sul fuoco (bassa fiamma) e girate fino a quando lo zucchero si sarà sciolto. Lasciate intiepidire e aggiungete l’aroma al rum.

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Una volta che il pan di spagna sarà raffreddato, lo apriamo a metà e bagniamo i due dischi interni con la bagna al rum (o con un cucchiaio o con un pennelo da cucina). Inzuppiamolo bene bene 😁 . Poi lo farciamo con la crema al cocco, lo chiudiamo, lo “vestiamo” di crema al cocco anche fuori. Poi cominciamo ad attaccare le scaglie di cioccolata ai lati del nostro morbidone: un po’ vi aiutate con le mani, un po’ con un cucchiaino. Infine spolveriamo sopra il cocco rapè e qualche scaglia di cioccolato avanzata.

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Per il cocco rapè, posso dirvi che mi sono trovata molto bene con quello bio comprato su Macrolibrarsi.

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Il pan di spagna va conservato in frigo per circa 2 o 3 giorni (massimo) e ben chiuso: potete avvolgerlo in una pellicola per alimenti o chiuso in una ciotola ermetica. È importante che sia ben chiuso, per evitare che si secchi. Va conservato in frigo a causa della farcitura che contiene latte.

Pubblicato in: Curiosità

I semi dei cachi

I semi del Cachi sono dei piccoli chicchi di pochi centimetri di lunghezza, ma al loro interno nascondono un segreto interessante e curioso.

Partiamo dal fatto che i semi non si trovano in tutti i cachi, ma nella varietà cachi mela.

Una piccola parentesi va aperta anche sul nome del frutto che in Giappone (dove ha origine) simboleggia la pace.
Il nome botanico della pianta è Diospiro/Diospero e deriva dal greco Dios cioè Dio, mentre pyros significa frumento, a sottolineare l’importanza di questo frutto nell’alimentazione.

Non voglio dilungarmi oltre menzionando le proprietà del frutto, bensì voglio concentrarmi sui suoi semi.

Una volta assaporato il dolce frutto, prendendo un seme e aprendolo a metà, troveremo al suo interno… una posata da cucina! Ovvero: un cucchiaio, una forchetta, oppure un coltello.

Secondo la tradizione contadina (per alcuni si tratta invece soltanto di una leggenda), la posata trovata all’interno del seme predirrebbe l’andamento dell’inverno.

In tal senso, se avremo:

● un cucchiaio, ci sarà una stagione invernale con tanta neve da spalare (anche se in qualche sito è riportato “piogge abbandonati”);

● una forchetta ci suggerirà un inverno mite senza gelo;

● un coltello, un inverno lungo, con freddo tagliente e poca pioggia.

Se invece vogliamo trovare una spiegazione scientifica a ciò: la posata è il germoglio non ancora maturato e la sua forma è variabile in relazione al suo stadio di preparazione a uscire ed emettere cotiledoni, cioè le foglie embrionali, insomma, le prime foglioline del cachi; si presenta ancora bianco perché è al buio, poi grazie alla fotosintesi prenderà il tipico colore verde delle foglie.

Per curiosità, ho anche aperto i semi di un cachi, ne ho aperti due per assicurarmi che uscisse sempre la stessa posata 😁

Ed il risultato è stato questo: un cucchiaio!

E voi ne avete a casa per fare l’esperimento? 😃